Italy in Its “Wild Age”: what the 2025 Censis Report reveals
L’Italia nell’Età Selvaggia: cosa rivela davvero il Rapporto Censis 2025
Una fotografia dura, ma preziosa.
Link al rapporto completo Censis 2025
Il 59° Rapporto Censis arriva come uno specchio impietoso: ci rimanda l’immagine di un’Italia che vive ciò che il Censis stesso definisce come “Età Selvaggia”. Un’espressione volutamente forte, con cui i ricercatori intendono una fase storica in cui le strutture sociali tradizionali si indeboliscono, le certezze si assottigliano, le istituzioni perdono credibilità e gli individui si arrangiano come possono, spesso affidandosi a soluzioni immediate più che a visioni di lungo periodo. Selvaggia, quindi, non perché caotica in senso folkloristico, ma perché priva di un ordine collettivo condiviso.
In questa cornice, il rapporto non parla di pessimismo, bensì di realismo necessario. Mostra un Paese che fatica a tenere il passo delle sue stesse promesse, e che vive tensioni economiche, culturali e demografiche che non possono più essere considerate transitorie.
La politica non convince più
La sfiducia nelle istituzioni è radicale: alle politiche del 2022 l’astensione ha toccato il 36%, e secondo il Censis il 30% degli italiani ritiene oggi che i regimi autoritari siano “più adatti allo spirito del tempo”. Non è un voto a favore dell’autocrazia: è un voto contro la percezione di inefficacia della democrazia così com’è. È un segnale di insofferenza verso processi decisionali lenti, fratture sociali profonde e una classe politica percepita come distante.
L’Italia che invecchia, assume tardi, e investe poco nelle generazioni giovani
La demografia resta il nodo più duro. Gli over 65 sono il 24,7% della popolazione, e nel 2045 saranno più di un terzo degli italiani. L’età media delle nuove assunzioni lo conferma: l’84,5% dei posti di lavoro creati nel biennio 2023-2024 è stato occupato da persone con più di cinquant’anni.
Ottima notizia per chi resta attivo, pessima per chi dovrebbe entrare nel mercato del lavoro, innovare, rischiare, costruire.
Parallelamente, le nascite sono ai minimi storici. Non è solo un problema previdenziale: è un problema culturale. Quando il futuro appare fragile, si fanno meno figli. È un indicatore di fiducia collettiva spezzata.
Debito pubblico e spesa culturale: due specchi della stessa fatica
Il debito pubblico ha superato i 3.081 miliardi di euro, massimo storico. Ma è la spesa delle famiglie a raccontare la parte più intima del cambiamento:
–34,6% di spesa culturale in vent’anni
+723% di spesa per smartphone e computer
Non consumiamo meno cultura perché non ci interessa: lo facciamo perché la pressione economica spinge verso ciò che è immediatamente utile, necessario, indispensabile per lavorare e comunicare.
Il risultato è un Paese connesso, ma meno nutrito dal punto di vista intellettuale.
La sicurezza: la percezione e la realtà
Roma e Milano guidano la classifica dei reati, con rapine in forte crescita rispetto al periodo pre-pandemia. Ma qui il Censis suggerisce cautela: la criminalità non è esplosa ovunque, è cambiata — ed è cambiata la nostra sensibilità al rischio. In un contesto sociale fragile, tutto pesa di più.
E noi? Perché questo rapporto riguarda chi vive fuori dall’Italia o osserva l’Italia da lontano?
Perché, letta con onestà, questa fotografia non parla solo di crisi: parla di spazio aperto. Di un Paese che ha bisogno di idee, energie, investimenti, reti relazionali e culturali che non si trovano solo dentro i suoi confini.
Chi vive all’estero, chi porta con sé un pezzo d’Italia, chi guarda al Paese come luogo di possibilità — piccole o grandi — ha oggi una responsabilità che non è retorica: decidere se partecipare o restare spettatore.
Il declino non è inevitabile. È una traiettoria che si modifica con la presenza, non con la nostalgia.
E l’Italia, oggi, ha bisogno di persone che portino:
visione, perché il racconto del futuro non può più essere appaltato alla politica;
idee imprenditoriali e sociali, perché il lavoro non si inventa dall’alto;
investimenti culturali, non solo finanziari;
storie, perché le storie generano immaginario — e l’immaginario genera cambiamento.
È esattamente ciò che facciamo qui, con ITS Journal: non celebriamo un’Italia immobile, ma raccontiamo un’Italia possibile, attraverso le vite di chi si muove, costruisce, ritorna, parte, reinventa.
Questa “Età Selvaggia” non è un destino.
È una fase di passaggio.
Il punto è decidere chi saremo noi dentro questo passaggio.
A harsh but valuable portrait
The 59th Censis Report arrives like an unflinching mirror. It reflects an Italy living through what the Censis itself calls a “Wild Age”. The expression sounds dramatic, but it is precise: researchers use it to describe a historical phase in which traditional social structures weaken, shared certainties fade, institutions lose credibility, and individuals rely on immediate solutions rather than long-term visions. Wild, therefore, not in a picturesque sense, but because of the absence of a solid, collective framework.
This is not a pessimistic report. It is an exercise in necessary realism, showing a country struggling to keep pace with its own promises, confronting economic, demographic and cultural tensions that are no longer temporary.
Politics no longer convinces
Public trust is collapsing. Turnout in the 2022 elections hit historic lows, and according to the report 30% of Italians now believe that authoritarian systems are “more suited to the spirit of the times”. This does not mean Italians want an autocracy; it means they feel the current democratic machinery is ineffective and slow in responding to social and global challenges.
An aging nation, late hiring, and little room for the young
Demographic pressure is the country’s hardest knot. Over-65s account for 24.7% of the population, and by 2045 they will exceed a third of all Italians. Employment figures add a further layer: 84.5% of new jobs created in 2023–2024 went to workers over fifty.
Good news for many, problematic for a new generation that needs space to innovate, experiment, build.
Births remain at historic lows — a cultural signal as much as an economic one. When a society doubts its future, it produces fewer children.
Public debt and cultural spending: two mirrors of the same fatigue
Public debt exceeds €3.081 trillion, the highest level ever recorded. But it is household spending that tells the most intimate story:
–34.6% cultural spending in twenty years
+723% spending on smartphones and computers
People are not abandoning culture because they no longer care. They are reallocating resources toward what feels essential, immediate, unavoidable.
The result: a hyper-connected country, but one that feeds itself less through long-form culture.
Security: perception and reality
Rome and Milan lead crime statistics, with robberies significantly higher than before the pandemic. Yet the Censis warns: crime has not uniformly exploded; it has shifted — and our sensitivity to danger has shifted with it.
And us? Why does this report matter to people living abroad or observing Italy from afar?
Because, if read honestly, this photograph does not describe decline alone. It describes open space. A moment that calls for ideas, energy, investment, and relationships that travel beyond Italy’s borders.
Those who live abroad, those who carry Italy with them, those who look at the country as a place of potential — small or large — now face a simple question: participate or watch from a distance.
Decline is not destiny. It is a trajectory that changes only through presence, not nostalgia.
And today Italy needs people willing to bring:
vision, because the future cannot be delegated entirely to politics;
entrepreneurial and social initiatives, because jobs and opportunities are built, not granted;
cultural investment, not only financial investment;
stories, because stories shape imagination — and imagination shapes change.
This is precisely what we try to do at ITS Journal: not celebrating a static Italy, but narrating a possible Italy through the lives of those who move, build, return, leave, and reinvent.
The “Wild Age” is not a verdict.
It is a transition.
The question is who we choose to be within it.


