Matteo L., from Copenhagen to Bologna
Architecture, identity, and the courage to shape spaces and roots
Da Copenaghen a Bologna: architettura, identità e il coraggio di disegnare spazi e radici
Matteo L. ha 38 anni ed è un architetto. Uno di quelli che ha sempre creduto che lo spazio non fosse solo qualcosa da abitare, ma una dimensione da vivere, interrogare, trasformare. È nato a Reggio Emilia, ha studiato a Firenze e poi è partito per la Danimarca, dove ha vissuto per quasi dodici anni tra Aarhus e Copenaghen.
Non era un salto nel vuoto: era il desiderio di confrontarsi con un modello urbano radicalmente diverso.
“A Copenaghen ho imparato che l’architettura è relazione. Non solo bellezza, non solo funzionalità. Ma rispetto del tempo e delle persone.”
In Danimarca lavora per uno studio rinomato, si specializza in bioarchitettura e partecipa a progetti di rigenerazione urbana sostenibile.
Lì, Matteo sviluppa una sensibilità diversa: si allontana dalla retorica del “grande architetto” e si avvicina alla figura dell’ascoltatore, del facilitatore, del progettista che co-costruisce con la comunità.
Ma qualcosa dentro di lui, lentamente, si muove. Forse la lingua, forse il bisogno di contatto umano più caldo, forse il desiderio di rimettere le mani sulla propria terra.
Nel 2021 torna in Italia con la sua compagna danese e un figlio piccolo.
Sceglie Bologna. Una città di passaggio, di ponti, di curve.
Apre uno studio insieme ad altri due colleghi italiani tornati da Berlino e Lione, e comincia a lavorare su progetti di rigenerazione urbana nei quartieri periferici.
“Tornare non è stato facile. Nessuno ti aspetta. Ma se hai qualcosa da dare, uno spazio lo trovi. O lo crei.”
Matteo lavora ora con scuole, associazioni, cooperative. Progetta spazi pubblici, piccoli teatri, biblioteche di quartiere.
Tiene corsi su sostenibilità e urbanistica partecipata. E, parallelamente, continua alcune collaborazioni con studi nordici da remoto.
“Il mio ritorno non è un addio alla Danimarca. È un ponte. È un modo per far parlare due visioni di città.”
Grazie agli incentivi per chi rientra, ha potuto sostenere i costi di avvio attività. Ma soprattutto, ha ritrovato una voce architettonica più sua.
“Ogni volta che disegno una piazza o un’aula, penso a mio figlio. E al mondo in cui crescerà. Tornare significa questo: scegliere cosa lasciare.”
From Copenhagen to Bologna: architecture, identity, and the courage to shape spaces and roots
Matteo L., 38, is an architect. He’s always believed that space is not just something we occupy—it’s something we live, question, and transform.
Born in Reggio Emilia, educated in Florence, he moved to Denmark and spent almost 12 years between Aarhus and Copenhagen.
“In Copenhagen I learned that architecture is about relationships. Not just beauty or function—but respect for time and people.”
He worked with a prestigious firm, specialized in sustainable design, and joined several urban regeneration projects.
His approach shifted—less focus on iconic design, more on participation and dialogue.
Eventually, he felt a pull: the language, the culture, the warmth, and a deep desire to return to his own ground.
In 2021, Matteo moved back to Italy with his Danish partner and their young son.
They settled in Bologna—a city of curves, crossings, and contradictions.
Together with two colleagues, he co-founded a design studio focused on participatory urbanism.
They work with schools, nonprofits, and local authorities to redesign public spaces, small theaters, libraries.
“Coming back wasn’t easy. No one is waiting for you. But if you have something to give, you find your space. Or you build it.”
He teaches workshops, continues remote projects with Scandinavian partners, and believes that returning is not about closing a door—it’s about connecting two worlds.
Thanks to Italy’s tax incentives for returnees, he launched his business without financial pressure. But more importantly, he’s rediscovered his own architectural voice.
“Every time I design a public square, I think of my son. And the world I want him to grow up in. That’s why I came back.”