Tra grandi opere, resistenze locali e il rischio immobilismo
Il Financial Times ha dedicato un reportage al progetto più divisivo della politica italiana: il ponte sullo Stretto di Messina. Un’opera da 13,5 miliardi di euro che dovrebbe collegare Sicilia e Calabria con un attraversamento di 3,7 km, in una delle zone più fragili dal punto di vista sismico ed ecologico.
Il tema non è nuovo: l’idea di unire l’isola al continente circola da oltre un secolo, ma oggi torna al centro dell’agenda del governo Meloni, presentata come segnale di ambizione nazionale e persino come investimento strategico in chiave Nato. Sul territorio, però, il clima è opposto: famiglie a rischio esproprio, amministrazioni locali preoccupate e associazioni ambientaliste pronte a dare battaglia.
Voci dal territorio
Il FT racconta la storia di Rosa Cattafi, che ha risparmiato per anni per comprare una casa a Torre Faro, oggi minacciata dal tracciato del ponte. «Se distruggono la mia casa, distruggono anche me», ha dichiarato. È la sintesi di una paura diffusa: quella di vedere sacrificati non solo edifici, ma comunità intere sull’altare di una grande opera percepita come calata dall’alto.
Le due grandi incognite
La diffidenza locale si nutre di due nodi storici.
Primo: la criminalità organizzata. Ogni grande cantiere in Sicilia e Calabria evoca il timore di infiltrazioni e di appalti pilotati. Nonostante le rassicurazioni del governo, il rischio resta alto.
Secondo: la fragilità sismica. Lo Stretto fu epicentro del terremoto del 1908 che causò oltre centomila vittime. Costruire qui il “ponte più grande del mondo” significa sfidare non solo la tecnologia, ma anche la geologia.
La domanda che divide
Il punto centrale resta: è davvero utile il ponte?
Da una parte, chi lo sostiene lo vede come catalizzatore: un’opera-simbolo che porta fondi, lavoro e visibilità internazionale. Dall’altra, molti cittadini e sindaci ricordano che la Sicilia non ha ancora una rete ferroviaria efficiente, autostrade sicure, aeroporti ben collegati.
Qui emerge la contraddizione: se il ponte si fa, rischia di assorbire risorse immense senza risolvere i problemi quotidiani. Se non si fa, però, non è affatto detto che quelle risorse vengano dirottate su strade e treni. La storia recente del Sud mostra che i “no” non si trasformano automaticamente in alternative concrete, ma spesso in immobilismo.
Ponte come leva, non come alternativa
Il rischio è ridurre il dibattito a un aut aut sterile: ponte sì o ponte no. In realtà la sfida dovrebbe essere un’altra: usare l’attenzione politica e i fondi mobilitati dal progetto per mettere in moto anche il resto delle infrastrutture, quelle che migliorerebbero la vita quotidiana dei cittadini.
La logica non dovrebbe essere quella della sostituzione (“niente ponte, quindi più ferrovie”), ma dell’integrazione (“ponte più ferrovie, più strade, più porti”). Solo così l’opera avrebbe senso: come parte di una visione organica di sviluppo e non come monumento isolato alla grandeur politica.
Ambiente e legalità
Non si possono però ignorare le obiezioni di fondo. Ambientalisti e scienziati ricordano che lo Stretto è un corridoio migratorio unico al mondo per centinaia di specie di uccelli: un patrimonio naturale che appartiene non solo all’Italia ma al pianeta.
Sul fronte giuridico, il Financial Times segnala che l’appalto principale è stato “riattivato” senza una nuova gara, sollevando dubbi di costituzionalità e compatibilità con le regole europee.
Tra simbolo e realtà
Il ponte sullo Stretto rimane, al tempo stesso, un sogno e un incubo. Un sogno di modernità, di superamento delle distanze, di un’Italia capace di fare quello che altri Paesi non osano. Un incubo per chi teme espropri, cantieri eterni, corruzione e danni ambientali irreversibili.
La verità, probabilmente, sta nel mezzo: il ponte da solo non salverà la Sicilia, ma può essere l’occasione per guardare al Sud con serietà, mettendo finalmente al centro la manutenzione, la mobilità sostenibile, le connessioni digitali. Se sarà solo uno slogan, resterà un monumento all’incompiuto. Se diventerà la scintilla di un piano più ampio, potrà cambiare la storia.
The Messina Bridge: Opportunity or Illusion?
Between grand projects, local resistance, and the risk of doing nothing
The Financial Times recently revisited one of Italy’s most divisive infrastructure projects: the Messina Strait Bridge. A €13.5 billion plan to connect Sicily and Calabria with a 3.7km crossing in one of Europe’s most fragile seismic and ecological zones.
The idea is not new. Italians have been dreaming of linking the island to the mainland for more than a century. Today, Prime Minister Giorgia Meloni’s government has revived the project, presenting it as a symbol of national ambition and even as a NATO-related investment. On the ground, however, the mood is very different: homeowners facing expropriation, local administrators worried about disruption, and environmental groups preparing for legal battles.
Local voices, personal sacrifices
The FT told the story of Rosa Cattafi, a municipal worker who saved for years to buy her home in Torre Faro — now marked for demolition to make way for the bridge’s towering pylons. “If they destroy my house, they destroy me too,” she said. Hers is not an isolated story. Dozens of families see the project as the erasure of their sacrifices and their communities.
Two unresolved concerns
Local mistrust is shaped by two historical wounds.
First, organized crime. Every large-scale construction project in southern Italy carries the specter of mafia infiltration. Despite government assurances, few believe the risk can be entirely neutralized.
Second, seismic vulnerability. The Strait was the epicenter of the devastating 1908 earthquake that killed over 100,000 people. Building the “largest bridge in the world” here is not just an engineering challenge, but also a geological gamble.
The real question: what is it for?
The central issue remains: what purpose does the bridge actually serve?
Supporters see it as a catalyst — a flagship project that brings jobs, funding, and international prestige. Critics argue Sicily still lacks efficient railways, safe highways, and reliable airports.
And this is where the contradiction lies. If the bridge is built, it may absorb huge resources without addressing Sicily’s everyday infrastructure needs. But if the bridge is blocked, that does not automatically mean those billions will be redirected to trains and roads. Italy’s track record suggests that “no” often translates not into alternatives, but into inertia.
A lever, not an alternative
Reducing the debate to “bridge yes or bridge no” is a dead end. The real challenge is to use the political attention and resources mobilized by the bridge to unlock broader infrastructure upgrades — railways, ports, roads, and digital connectivity.
The bridge should not be seen as a substitute for everything else, but as a lever that forces a systemic approach. Only then could the project make sense: not as a solitary monument to political grandeur, but as part of an integrated vision for southern Italy.
Environment and legality
Still, serious concerns cannot be ignored. Environmentalists warn that the Strait is a critical global migratory corridor for hundreds of bird species. Destroying or disrupting it would mean losing a heritage that “belongs to the world,” as one ornithologist told the FT.
On the legal side, the newspaper highlighted that the main €10.5 billion contract was “reactivated” without a new tender, raising constitutional and EU law questions.
Between dream and nightmare
The Messina Bridge remains, at once, a dream and a nightmare. A dream of modernity, of overcoming isolation, of Italy proving it can achieve the impossible. A nightmare for those who fear expropriations, endless construction sites, corruption, or irreversible environmental damage.
The truth likely lies in between: the bridge alone will not save Sicily, but it could be the spark that forces Italy to finally invest in its neglected South. If it stays an empty slogan, it will become yet another monument to incompleteness. If it is part of a broader plan, it could change history.