The Right to Stay: When Sicilian Youth Choose Their Homeland
Il diritto di restare: quando i giovani siciliani scelgono la loro terra
A San Giovanni Gemini nasce la prima rete regionale indipendente contro lo spopolamento. Tre anni di lavoro civico diventano visione politica. E Carmelo Traina guida una generazione che non vuole partire, ma incidere.
Per anni la narrazione sul Sud è rimasta sempre la stessa: partire è l’unica via, restare è un atto di coraggio (o di rassegnazione). Ma il 15 novembre a San Giovanni Gemini quella narrazione ha iniziato a incrinarsi. Con la firma del Patto per il diritto di restare, 45 organizzazioni siciliane hanno dato vita al primo movimento regionale indipendente che rivendica una cosa semplice e rivoluzionaria: la possibilità di costruire il proprio futuro senza abbandonare la propria terra.
Il motore di questo percorso è Carmelo Traina, presidente del Centro Studi Giuseppe Gatì di Campobello di Licata. Negli ultimi tre anni, attraverso il progetto “Questa è la mia terra”, ha tenuto insieme un arcipelago di associazioni, spazi culturali, giovani rientrati dal Nord, fondazioni e gruppi civici che lavorano ogni giorno nei territori. Non un insieme di esperienze isolate, ma una trama condivisa. “Il nostro lavoro nei territori non basta se non riesce a cambiare anche le istituzioni”, spiega Carmelo. È la chiave di lettura dell’intero movimento: il civismo diventa finalmente progettualità politica.
L’Agrigentino è il territorio più rappresentato, con quasi un quarto delle adesioni: Local Impact, Beddamé, E1 APS, Spazio Giovani Generazioni, T.T.T. e molte altre realtà che conoscono bene il prezzo dello spopolamento e la fatica quotidiana di chi sceglie di restare davvero. La loro presenza racconta una domanda di sistema, non solo di iniziative.
Il programma dell’evento — interventi, firma collettiva, elezione del coordinamento regionale — segna un cambio di postura: non più “resistenza individuale”, ma “organizzazione collettiva”. Non più il racconto dei sogni di chi parte, ma la rivendicazione dei diritti di chi resta.
Il Sud continua a perdere giovani, sì. Ma a San Giovanni Gemini abbiamo visto un’altra storia: una generazione che sceglie di restare non per mancanza di alternative, ma per costruirne di nuove. Una generazione che chiede riconoscimento, responsabilità pubblica e politiche che non li costringano alla scelta binaria tra radici e futuro.
Il diritto di restare non è retorica: è un’infrastruttura sociale e politica da costruire insieme. E forse questa volta la Sicilia ha deciso di cominciare.
In San Giovanni Gemini, Sicily’s first independent regional network against depopulation is born. Three years of civic work turn into political strategy. And under Carmelo Traina’s guidance, a generation chooses not to leave, but to shape its future from within.
For decades, Southern Italy has been framed by the same narrative: leaving is ambition; staying is resignation or stubbornness. But on 15 November in San Giovanni Gemini, that narrative shifted. With the signing of the Pact for the Right to Stay, 45 Sicilian organisations launched the first independent regional movement claiming something both simple and transformative: the ability to build a future without abandoning one’s homeland.
At the centre is Carmelo Traina, president of the Giuseppe Gatì Study Centre in Campobello di Licata. Through the project “Questa è la mia terra”, he spent three years weaving together associations, cultural spaces, returning young professionals, foundations, and civic groups from across the island. Not a mosaic of good intentions, but a shared infrastructure. “Grassroots work isn’t enough if it doesn’t change institutions,” Carmelo says — a sentence that defines the movement’s ambition: turning civic commitment into political agency.
Agrigento is the most represented area, with nearly a quarter of all participating organisations: Local Impact, Beddamé, E1 APS, Spazio Giovani Generazioni, T.T.T. and more — groups that know firsthand the cost of depopulation and the daily effort required to keep communities alive. Their presence signals a demand not for isolated projects, but for systemic change.
The event structure — speeches, collective signing, election of the regional coordination — marks a shift in posture: from “individual resistance” to “collective organisation”. From stories about leaving to a movement that defends the rights of those who stay.
Southern Italy still loses young people — that is a fact. But San Giovanni Gemini revealed something different: a generation choosing to stay not because they lack alternatives, but because they want to create new ones. A generation demanding recognition, institutional responsibility, and policies that finally make staying a viable and legitimate path.
The right to stay is not rhetoric. It is a framework to build — socially, economically, politically. And perhaps Sicily has finally begun.


