Tra salari più alti all’estero e il richiamo della famiglia, il Portogallo prova a riportare a casa i suoi talenti con il Programa Regressar. Una storia che ricorda molto da vicino l’Italia.
Secondo un’inchiesta pubblicata da Business Spotlight (Inês Almeida, 12 settembre 2025), il Portogallo ha oggi circa 2,3 milioni di cittadini che vivono all’estero. Una cifra enorme se rapportata alla popolazione totale (poco più di 10 milioni). Solo nel 2023 oltre 33.600 persone hanno lasciato il Paese, il dato più alto dal 2016. Numeri che raccontano un fenomeno ben noto anche in Italia: l’emigrazione giovanile.
Le ragioni sono sempre le stesse: stipendi più competitivi, migliori prospettive di carriera, contratti stabili e un contesto professionale più dinamico. Per un giovane laureato, restare in patria spesso significa accettare compromessi che all’estero non esistono. Ma allora perché qualcuno dovrebbe tornare?
Il governo portoghese ha provato a rispondere nel 2019 con il Programa Regressar, un pacchetto di misure pensato per favorire il rientro degli emigrati. Incentivi economici per chi cerca lavoro, crediti agevolati per chi vuole avviare un’impresa, riconoscimento rapido dei titoli di studio conseguiti all’estero. Ad oggi, circa 35.000 persone hanno fatto ritorno grazie al programma. Una goccia nel mare, se si pensa alla diaspora portoghese, ma un segnale politico chiaro.
Dietro le cifre ci sono storie personali, raccolte nell’articolo. Come quella di Lina Mascia, partita per la Germania a 23 anni e rientrata dopo undici anni. “Non avrei mai guadagnato quanto all’estero, ma il fatto di essere tornata dalla mia famiglia e di vedere mia figlia crescere accanto ai nonni mi ha reso felice”. O quella di Vanessa Amorim, scienziata biomedica che aveva scelto il Regno Unito per opportunità e stipendi, salvo poi rientrare dopo Brexit e pandemia: “Ho trovato un Paese più preparato ad accogliermi e, soprattutto, la possibilità di vivere vicino a famiglia e amici, con una qualità di vita che lì non avevo”.
Il paradosso è che, mentre cerca di convincere i propri giovani a rientrare, il Portogallo è diventato sempre più attrattivo per altri. Nel 2023 gli stranieri residenti legali sono aumentati del 33,6%, superando quota un milione. Un boom legato da un lato a chi proviene da Paesi economicamente più fragili, dall’altro ai digital nomads che scelgono Lisbona o Porto come base europea.
Un doppio movimento – espatriati in uscita, stranieri in arrivo – che solleva domande cruciali anche per l’Italia. Negli ultimi vent’anni, il nostro Paese ha visto partire quasi un milione di giovani. Tentativi di “rientro dei cervelli” non sono mancati: programmi di rientro per ricercatori, incentivi fiscali per chi torna dall’estero, campagne di comunicazione per il “ritorno a Sud”. Ma i numeri restano limitati, e soprattutto le misure si scontrano con problemi strutturali: burocrazia lenta, salari bassi, carenza di servizi.
La vera sfida forse non è avere paura che i giovani partano. Anzi, partire può voler dire aprirsi opportunità, sperimentare, crescere. Il punto è non costringerli a farlo, per mancanza di prospettive in casa. E partire dalla cosa più semplice: rendere meno ostile il fare impresa, non solo sul piano fiscale, ma anche culturale, evitando di ostracizzare chi rischia.
C’è poi un dettaglio curioso: se per tanti stranieri – compresi giovani professionisti e nomadi digitali – il Portogallo (così come l’Italia) appare un luogo interessante, allora significa che c’è qualcosa che non valorizziamo abbastanza di ciò che abbiamo già a casa nostra.
To Return or to Leave: That Is the Dilemma!
With better salaries abroad and the pull of family ties, Portugal tries to bring its talent back through the Programa Regressar. A story strikingly similar to Italy’s.
According to Business Spotlight (Inês Almeida, 12 September 2025), Portugal today has around 2.3 million citizens living abroad — a staggering figure for a country of just over 10 million. In 2023 alone, more than 33,600 people left, the highest number since 2016. The phenomenon is all too familiar to Italy: youth emigration.
The reasons are clear: higher salaries, better career prospects, more stable contracts, and a more dynamic professional environment. For many young graduates, staying at home means accepting compromises that simply don’t exist abroad. But why would anyone return?
In 2019, the Portuguese government launched the Programa Regressar, a set of measures designed to encourage emigrants to come back. The package includes financial support for job seekers, credit lines to start a business, and fast recognition of academic qualifications obtained abroad. So far, about 35,000 people have returned. A drop in the ocean compared to the Portuguese diaspora, but a clear political signal.
Behind the numbers are personal stories reported in the article. Like Lina Mascia, who left for Germany at 23 and returned after eleven years. “I knew I wasn’t going to earn the same as abroad, but being back with my family and seeing my daughter grow up with her grandparents made me happy.” Or Vanessa Amorim, a biomedical scientist who moved to the UK in search of career opportunities, only to come back after Brexit and the pandemic: “I felt the country was better prepared to welcome me — and, above all, the chance to be close to family and friends and enjoy a quality of life I didn’t have there.”
The paradox is that while Portugal tries to bring its young citizens home, it has become increasingly attractive to others. In 2023, the number of legal foreign residents rose by 33.6%, surpassing 1 million. Some are migrants from poorer countries, others digital nomads choosing Lisbon or Porto as their European base.
This double movement — locals leaving, foreigners arriving — raises questions that Italy also faces. In the past twenty years, nearly a million Italians have left, many of them young professionals. Efforts to reverse the trend exist: repatriation schemes for researchers, tax incentives for returning professionals, “return to the South” campaigns. Yet the numbers remain small, and structural issues — low wages, slow bureaucracy, lack of services — continue to weigh heavily.
The real challenge may not be fearing that young people will leave. Leaving can mean experimenting, opening doors, seizing opportunities. The point is ensuring they are not forced to go because prospects at home are too limited. And the first step is simple: making entrepreneurship less hostile, not only fiscally but also culturally, and avoiding the ostracism of those who take risks.
And here’s the curious thing: if so many foreigners — including young professionals and digital nomads — find Portugal (and Italy) appealing, maybe it means that we ourselves fail to properly value what we already have at home.