Why People Really Move to Italy: What Newcomers Discover First
Perché ci si muove davvero: l’Italia vista da chi arriva
La storia – riportata dal Daily Mail – di una famiglia americana trasferita a Bologna ricorda una verità essenziale: vivere in Italia cambia prospettiva, ma richiede tempo, adattamento e una reale apertura verso il modo in cui il Paese funziona, comunica e si organizza.
Ogni anno migliaia di persone scelgono l’Italia. Alcuni per amore, altri per lavoro, altri ancora per un desiderio più profondo: rallentare, respirare, ritrovare un senso di equilibrio. La storia raccontata dal Daily Mail di Clara Hogan, 36 anni, californiana, trasferita a Bologna con il marito e due bambine, è un esempio di quanto un cambiamento di vita possa essere insieme faticoso e rigenerante.
Come tutte le storie di trasferimento, anche questa nasce da una stanchezza: quella di un modello di vita che corre troppo, che costa troppo, che lascia poco spazio a ciò che conta davvero. Hogan lo racconta senza retorica: negli Stati Uniti l’intensità del lavoro, il costo della vita e un clima sociale sempre più teso avevano reso difficile mantenere un equilibrio.
Ma arrivare in Italia non è stato un colpo di bacchetta magica. È stato un processo quotidiano, fatto di burocrazia da decifrare, scuole da capire, orari dei negozi che non seguono logiche anglosassoni, piccole difficoltà di comunicazione, e quella sensazione iniziale di essere sempre “un passo indietro”.
È normale: ogni Paese ha la sua grammatica culturale, fatta di tempi, consuetudini e modi di fare che si imparano solo vivendo.
Il Daily Mail ha messo in evidenza uno degli aspetti che più hanno colpito la famiglia: il rapporto italiano con il cibo dei bambini. Niente “kids’ menu”, niente piatti semplificati per evitare problemi. A scuola si mangia come gli adulti: pasti completi, cucinati sul posto, con ingredienti riconoscibili e un’idea di educazione alimentare che passa dall’esperienza quotidiana.
Per chi arriva dagli Stati Uniti, dove il tema della qualità del cibo è una vera battaglia genitoriale, questo può sembrare quasi rivoluzionario.
Un altro elemento decisivo è il ritmo. Hogan parla di una vita più lenta, più condivisa, dove i bambini sono considerati parte naturale dello spazio pubblico e dove le giornate non vengono frantumate in attività, appuntamenti, spostamenti continui. A Bologna si cammina, ci si incontra, ci si orienta sulle piazze, non sugli orari. In questo, l’Italia resta sorprendentemente coerente con sé stessa.
Naturalmente non tutto è semplice. La barriera linguistica esiste e si sente; la sensazione di rimanere “fuori” dalle sfumature può durare mesi. Ma non è un ostacolo insormontabile: è una fase fisiologica, un passaggio che quasi tutti quelli che arrivano dall’estero attraversano. Col tempo, la lingua smette di essere un limite e diventa uno strumento per capire il resto: dalle conversazioni tra genitori fuori da scuola alle piccole ironie del quotidiano.
La storia di Hogan non dice che l’Italia è perfetta. Dice, però, che è un luogo dove molti ritrovano una qualità della vita che altrove sembra complicata: cibo, tempo, sicurezza percepita, spazi per i bambini, un senso diffuso di comunità.
È il motivo per cui tante persone continuano a spostarsi qui: non per trovare un Paese senza problemi, ma per scoprire un modo diverso di stare al mondo.
Why People Really Move to Italy: What Newcomers Discover First
A recent Daily Mail profile of an American family in Bologna reminds us of something essential: moving to Italy reshapes your life, but only if you’re willing to adapt to its rhythms, its habits, and the way the country communicates and organizes itself.
Every year thousands of people choose Italy. Some for love, some for work, others for a quieter desire: to slow down, to reconnect with time, to find a more livable balance. The story reported by the Daily Mail about Clara Hogan—a 36-year-old mother who moved from California to Bologna with her husband and daughters—is a window into what relocation really looks like.
Like many who leave the United States, the family was tired: tired of high costs, constant productivity, a tense political climate and the feeling that life had become too compressed. Italy seemed like the space to reset.
But arriving in Italy was not an instant “dolce vita.” It was daily work: bureaucracy to decode, unfamiliar school systems, shop hours that follow their own logic, and the classic early phase of feeling slightly out of sync.
Every country has its cultural grammar, made of timing, expectations and unspoken norms that you only learn by living inside them.
One detail highlighted by the Daily Mail struck Hogan immediately: the way Italy treats children’s meals. No simplified “kids’ menu,” no ultra-processed shortcuts. School lunches are proper meals—multiple courses, cooked on site, with the expectation that children will try everything. For many American parents, constantly navigating labels and additives, this feels almost revolutionary.
Then comes pace. Hogan notes the slower rhythm, the community-centred routine, the way children are naturally included in public life. Days are less fragmented; walking becomes the default. The city itself offers a sense of safety and autonomy that is hard to replicate elsewhere.
Of course, challenges remain. The language barrier is real at the beginning. Not dramatic, but present: a reminder that integration is a process, not a switch. Over time, though, language becomes a bridge—allowing newcomers to understand social nuances, school conversations, neighbourly humour and the texture of everyday life.
Hogan’s story doesn’t claim Italy is flawless. It suggests something simpler: that Italy offers a combination of food culture, time, community, and mental space that many feel they’ve lost.
People don’t move here because it’s perfect—they move because it feels human, and because living here invites a different way of experiencing the world.


