Ci sono episodi che parlano di lavoro remoto.
E poi ce ne sono alcuni — più rari — che parlano di disinnescare una traiettoria già scritta, quando hai investito metà della vita nel farla funzionare.
Nel decimo episodio di Remote Workers for Remote Villages incontriamo Massimiliano Marchesi: nato e cresciuto a Milano, Politecnico, vent’anni abbondanti di carriera nella logistica e supply chain nel largo consumo, fino alla dirigenza. Il percorso perfetto del milanese classico, quello che studia, lavora, cresce in azienda, fa carriera. Quello noto per essere imbruttito.
Quello che, almeno fino a qualche anno fa, era considerato “arrivare”.
E invece no.
A un certo punto Massimiliano fa qualcosa di meno spettacolare — e molto più difficile — che “mollare tutto”: decide di non continuare. Non perché la carriera non funzionasse, ma perché funzionava fin troppo bene e il finale era già noto. Altre aziende, stessi ritmi, stessa città, stesso stile di vita. Milano compresa, con tutto il suo carico di efficienza, rumore e — sì — milanesi imbruttiti che vanno al lavoro.
La svolta nasce da una domanda semplice e spietata:
”Se questa è la traiettoria, è davvero qui che voglio spendere la seconda parte della mia vita?”
Le Marche: l’Italia che “non si sa dove sia” (finché non ci vivi)
Il cambiamento non arriva con un piano perfetto, ma come spesso succede nella vita vera: per curiosità, incontri, coincidenze.
Le Marche entrano prima come territorio da esplorare — anche grazie alla passione per il vino — soprattutto nel sud della regione. Poi diventano una possibilità concreta.
Qui Massimiliano scopre qualcosa che, detta da Milano, suona quasi sovversiva: la qualità della vita come normalità. Paesaggio, cibo, ritmi. Trattorie di campagna, materie prime vere, prezzi ancora umani. Non l’eccezione del weekend, ma la base quotidiana.
L’occasione arriva quando incontra una proprietaria inglese che decide di vendere: lui cercava un terreno per piantare una vigna, trova anche una casa. Abitabile, non perfetta, ma nel posto giusto. E scopre un’altra verità dimenticata: in molte parti delle Marche si possono ancora acquistare belle case in belle posizioni a prezzi ragionevoli.
Il paesaggio qui non è un fondale Instagram: è un elemento strutturale del benessere. Alzare gli occhi e vedere le colline, i Monti Sibillini innevati, il cielo aperto. Capire che la “location” non è un lusso, ma una scelta di vita.
Dal corporate alla vigna (senza favole)
La domanda arriva inevitabile: “ma tu sapevi già fare vino?”
Risposta onesta: no.
Le passioni Massimiliano le aveva coltivate mentre lavorava: vino, sensorialità, corsi da sommelier, assaggio. Poi il caffè, grazie a un’esperienza lunga in azienda, fino a spostarsi verso la parte più tecnica e culturale del prodotto.
Quando esce dal mondo corporate, non si inventa un personaggio nuovo. Fa una cosa più intelligente: ricompone.
Da una parte, la vigna nelle Marche, le vendemmie, un progetto agricolo che cresce lentamente.
Dall’altra, una professionalità che resta viva: formazione sul caffè, eventi, corsi in Italia e all’estero, perfino collaborazioni con ambasciate italiane per la promozione della cultura gastronomica.
Questo è lavoro remoto nel senso più concreto: non “lavoro da casa”, ma lavoro che si incastra in una vita progettata meglio.
Comunità piccola, diffidenza normale (e come si entra davvero)
Il paese è piccolo: circa 4.000 abitanti, meno di 1.000 nel borgo. Comunità chiusa, diffidente, come è normale che sia.
Niente integrazioni automatiche, niente “accoglienza” da brochure.
La chiave? Non arrivare da protagonista. Mettersi allo stesso livello. Dare qualcosa, non solo chiedere.
Nel suo caso, una competenza semplice ma decisiva: parlare inglese. Diventa ponte tra artigiani locali e stranieri che comprano e ristrutturano casa. Favori, scambi umani, relazioni che si costruiscono nel tempo.
E poi la scena perfetta, da manuale di rigenerazione non scritta: la festa di Sant’Antonio, il panino con la porchetta, e Massimiliano che porta e offre specialty coffee. Non per fare il fenomeno, ma per essere parte della festa.
Risultato? “Sei uno di noi”.
Oggi entra nel bar del paese e gli offrono caffè e aperitivi. Diventa quasi un problema logistico. Ma è il segno che l’integrazione vera passa dall’utilità reciproca, non dalla narrativa.
Stranieri, italiani, ritorni
Un passaggio ironico ma lucidissimo dell’episodio: le Marche, per molti italiani, “sono come il Molise”. Esistono, ma non si sa bene dove.
Gli stranieri invece arrivano eccome. Spesso perché cercano un’Italia ancora autentica, meno cara, meno consumata. E qui emerge un dato che vediamo spesso anche in altri territori: certe aree vengono riscoperte prima da chi arriva da fuori che da chi ci è nato.
Questo non è un problema identitario, ma una questione di sguardo. E apre una domanda centrale per la serie: come rendere questi territori vivibili, non solo “visitabili”.
È una strada per pochi?
Alla domanda più difficile, Massimiliano non risponde con slogan. Dice: serve coraggio.
E ne serve di più quando il disagio in città non è ancora esploso.
Ma aggiunge una cosa fondamentale: vivere fuori costa meno non solo perché i prezzi sono più bassi, ma perché ti serve meno compensare. Se vivi in un posto bello, lavori meglio, respiri meglio, hai meno bisogno di fuggire nel weekend, di spendere per sentirti vivo, di sopportare una vita che non ti rappresenta.
E qui arriva il punto finale, netto, senza romanticismi:
oggi puoi fare carriera in città e vivere comunque male. Guadagnare relativamente poco, spendere molto, rinviare sempre l’idea di casa, di stabilità, di qualità.
Allora la domanda diventa inevitabile: perché restare, se il beneficio si è assottigliato così tanto?
Perché questo episodio conta
Questa non è una storia di fuga.
È una storia di ricentramento.
Prendi quello che sei stato — competenze, esperienza, lingua, professionalità — e lo porti in un contesto diverso, come le Marche, per costruire una vita che assomigli di più a te. Senza sapere tutto prima. Senza avere tutto pronto. Con una vigna che cresce, un progetto che evolve, una casa che prima era “vacanza” e poi diventa casa vera.
In fondo, è questo che racconta Remote Workers for Remote Villages:
non il mito del “mollare tutto”, ma il coraggio molto più concreto di fare spazio.
Incuriosito dalla storia di Massimiliano? Perché non visitarlo a casa sua nelle Marche?
Massimiliano Marchesi and the courage to disarm a pre-written life
There are episodes that talk about remote work.
And then there are others — rarer ones — that talk about disarming a trajectory that has already been written, after you’ve spent half your life making it work.
In the tenth episode of Remote Workers for Remote Villages, we meet Massimiliano Marchesi: born and raised in Milan, Politecnico graduate, more than twenty years of career in logistics and supply chain within the FMCG world, eventually reaching senior management.
The perfect path of the classic Milanese: study hard, work harder, grow inside companies, build a career.
The kind often described — half jokingly, half seriously — as milanese imbruttito: efficient, stressed, permanently in a hurry.
What, until not so long ago, was considered “making it”.
And yet — no.
At some point, Massimiliano does something far less spectacular — and far more difficult — than “dropping everything”: he decides not to continue.
Not because the career wasn’t working, but because it was working too well, and the ending was already clear. More companies, same pace, same city, same lifestyle. Milan included, with all its efficiency, noise, and — yes — imbruttiti commuting to work.
The turning point comes from a simple, ruthless question:
“If this is the trajectory, is this really where I want to spend the second half of my life?”
Le Marche: the part of Italy “no one quite knows where it is” (until you live there)
The change doesn’t arrive with a perfect plan, but the way it usually does in real life: through curiosity, encounters, coincidences.
Le Marche first enters the picture as a territory to explore — also thanks to a passion for wine — especially in the southern part of the region. Then it becomes a concrete possibility.
Here, Massimiliano discovers something that, said from Milan, sounds almost subversive: quality of life as the norm. Landscape, food, rhythm. Country trattorias, real ingredients, still-human prices. Not a weekend exception, but everyday life.
The opportunity comes when he meets an English homeowner who decides to sell. He was looking for land to plant a vineyard and ends up finding a house as well. Liveable, not perfect, but in the right place. And he rediscovers a forgotten truth: in many parts of Le Marche, you can still buy beautiful homes in beautiful locations at reasonable prices.
The landscape here isn’t an Instagram backdrop. It’s a structural component of wellbeing. Lifting your eyes to see rolling hills, the snow-covered Sibillini Mountains, open skies. Understanding that “location” isn’t a luxury — it’s a life choice.
From corporate life to a vineyard (no fairy tales)
The question inevitably comes up: “But did you already know how to make wine?”
Honest answer: no.
Massimiliano cultivated his passions while working: wine, sensory analysis, sommelier courses, tasting. Then coffee, thanks to a long corporate experience, gradually moving toward the more technical and cultural side of the product.
When he leaves the corporate world, he doesn’t invent a new persona. He does something smarter: he recomposes.
On one side, a vineyard in Le Marche, harvests, an agricultural project growing slowly.
On the other, a professional identity that stays alive: coffee training, events, courses in Italy and abroad, even collaborations with Italian embassies to promote food culture.
This is remote work in its most concrete sense: not “working from home”, but work that fits into a better-designed life.
Small community, normal suspicion (and how you really become part of it)
The town is small: about 4,000 inhabitants, fewer than 1,000 in the historic centre. A close-knit, cautious community — as is entirely normal.
No automatic integration. No brochure-style “welcome”.
The key? Don’t arrive as the main character. Meet people at eye level. Give something, not just ask.
In his case, a simple but decisive skill: speaking English. He becomes a bridge between local craftsmen and foreigners buying and renovating houses. Favours, human exchanges, relationships built over time.
And then the perfect scene — straight out of an unwritten regeneration handbook: the Saint Anthony village festival, a porchetta sandwich, and Massimiliano serving specialty coffee. Not to show off, but to be part of it.
Result? “You’re one of us.”
Today, he walks into the village bar and people offer him coffee or aperitifs. It almost becomes a logistical issue. But it’s proof that real integration comes from mutual usefulness, not storytelling.
Foreigners, Italians, returns
One ironic yet razor-sharp moment in the episode: for many Italians, Le Marche is “like Molise”. It exists — but no one quite knows where.
Foreigners, however, arrive in significant numbers. Often because they’re looking for a more authentic Italy, less expensive, less worn out. And here a pattern emerges — one we see in many territories: some places are rediscovered first by outsiders rather than locals.
This isn’t an identity problem; it’s a matter of perspective. And it raises a central question for the series: how do we make these places livable, not just “visit-worthy”?
Is this a path for the few?
When faced with the hardest question, Massimiliano doesn’t hide behind slogans. He says it plainly: it takes courage.
And it takes even more when city discomfort hasn’t fully exploded yet.
But he adds something crucial: living outside costs less not only because prices are lower, but because you need less compensation. If you live in a beautiful place, work better, breathe better, you feel less need to escape on weekends, to spend money just to feel alive, to endure a life that doesn’t represent you.
And here comes the final, unsentimental point:
today you can build a career in the city and still live badly. Earn relatively little, spend a lot, constantly postpone the idea of home, stability, quality.
So the question becomes inevitable: why stay, when the benefit has thinned out so much?
Why this episode matters
This isn’t a story of escape.
It’s a story of re-centering.
You take who you’ve been — skills, experience, language, professionalism — and bring it into a different context, like Le Marche, to build a life that looks more like you. Without knowing everything in advance. Without having it all figured out. With a vineyard that grows, a project that evolves, a house that starts as a holiday place and becomes a real home.
In the end, that’s what Remote Workers for Remote Villages is really about:
not the myth of “dropping everything”, but the much more concrete courage to make space.
Intrigued by Massimiliano’s story? Visit him at ‘home’!














