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Remote Workers for Remote Villages (Ep. 9) - Elisa Lo Blanco & Roberto Palma

Non è un ritorno, è un’evoluzione

Ci sono storie che non iniziano con un sogno, ma con una domanda.
E spesso non è nemmeno una domanda romantica, di quelle buone per i convegni o per le brochure: è una domanda scomoda, concreta, quasi fastidiosa. Stiamo vivendo nel modo giusto?
L’episodio 9 di Remote Workers for Remote Villages nasce esattamente da lì.

Elisa Lo Blanco e Roberto Palma non sono “fuggiti” al Sud. Non hanno mollato tutto per inseguire un’idea vaga di felicità mediterranea. Sono due ingegneri biomedici, con un percorso solido costruito a Bologna, nel mondo dei medical device, in aziende strutturate, multinazionali comprese. Hanno fatto quello che, per anni, è stato considerato il percorso corretto: studio, specializzazione, lavoro qualificato, stabilità.

Poi arriva il 2020.
Non come rivelazione mistica, ma come frattura reale.

La morte di un amico bolognese di 49 anni, avvenuta il 15 marzo 2020 a causa del Covid, e l’aver contratto loro stessi il virus nella fase iniziale della pandemia, prima dei vaccini, rendono impossibile continuare a rimandare alcune domande. Non c’è un racconto di malattia, né un prima e un dopo clinico. C’è piuttosto l’impatto psicologico ed esistenziale di quel periodo, comune a molti, ma che in pochi hanno avuto il coraggio di ascoltare davvero.

La scelta non è stata “tornare”

La scelta non è stata “tornare al Sud”.
La scelta è stata riprendere il controllo del proprio tempo e del proprio spazio.

Elisa lascia una multinazionale da decine di migliaia di dipendenti per entrare in una startup di dieci persone. Roberto rivede completamente il suo rapporto con il lavoro. Entrambi cercano — e trovano — opportunità che consentano loro di lavorare da remoto, senza rinunciare alla complessità professionale, ma guadagnando libertà.

La Sicilia entra nella loro storia non come rifugio, ma come possibilità concreta. Le terre di famiglia, l’idea di non lasciare tutto improduttivo, la voglia di sperimentare. Non diventano agricoltori, non cambiano mestiere. Continuano a fare il loro lavoro, semplicemente da un altro luogo.

Ed è qui che avviene il vero passaggio.

Quando il lavoro da remoto smette di essere solitudine

All’inizio c’è entusiasmo. Poi arriva l’altra faccia del lavoro da remoto: l’isolamento.
Lavorare da casa, anche nel paese più bello del mondo, resta lavorare da una stanza chiusa. E a Licodia Eubea — poco più di 3.000 abitanti — quella stanza rischia di diventare un confine.

Da questa necessità, più che da una visione strategica, nasce l’idea del coworking. Non un “hub”, non un progetto calato dall’alto, ma una domanda molto semplice: possibile che non esista uno spazio dove incontrarsi, lavorare insieme, contaminarsi?

La risposta arriva dove spesso arrivano le cose più interessanti: nelle relazioni.
Un parroco lungimirante che apre le porte di un oratorio ristrutturato. Altre persone del paese che lavorano da remoto e fino a quel momento si sentivano “alieni”. Professionisti diversi — sviluppatori, imprenditori e-commerce, un giornalista-avvocato — che scoprono di non essere eccezioni isolate.

Il coworking nasce così. Senza proclami. Senza bandi iniziali. Nasce perché serve.

L’evoluzione: da spazio a rete

Con il tempo, quello spazio diventa qualcosa di più.
Non solo un luogo dove lavorare, ma un punto di connessione. Con altre realtà siciliane, con coworking rurali nati in contesti simili, con esperienze come Southworking, con incubatori come Isola Catania.

Elisa e Roberto raccontano bene un passaggio chiave: la rete non nasce per ambizione, ma per sopravvivenza. Confrontarsi con chi sta facendo scelte simili diventa una forma di sicurezza, una conferma che quella strada — pur fragile — non è una follia individuale.

È anche un cambio culturale profondo: collaborare senza competere, condividere errori prima ancora che successi, crescere insieme senza bisogno di etichette.

Infrastrutture, non storytelling

Uno dei momenti più forti dell’episodio arriva quando il racconto si sposta dalle persone ai territori.
Lavorare da remoto, vivere in un luogo, significa anche accettare la responsabilità di quel luogo. E quindi parlare di infrastrutture, senza retorica.

Strade incompiute. Autostrade fondamentali per interi distretti agricoli ancora ferme. Elisa e Roberto raccontano il loro monitoraggio mensile dei lavori sulla Catania-Ragusa, non come attivismo ideologico, ma come necessità concreta. Se vivi lì, quella strada ti riguarda. Punto.

È una forma di cittadinanza nuova, forse poco raccontata: chi lavora da remoto non è un ospite temporaneo, ma qualcuno che ha interesse diretto nel funzionamento del territorio.

Il paradosso della connettività

C’è poi un altro mito che l’episodio smonta con naturalezza: quello della scarsa connettività.
In molti piccoli centri siciliani oggi la banda è migliore che in grandi città congestionate. In alcuni casi grazie a imprenditori locali che hanno portato la fibra prima ancora degli operatori nazionali.

Non perché il Sud sia “avanti”, ma perché arrivare dopo ha consentito di costruire infrastrutture già adeguate ai bisogni attuali. Un paradosso che vale la pena osservare senza pregiudizi.

Dal Sud, ma non chiusi

Oggi Elisa e Roberto vivono una dimensione multilocale: Sicilia e Salento si alternano, tra lavoro, famiglia, nuove reti. A Trepuzzi trovano coworking pubblici, biblioteche vive, fermento. In Sicilia continuano a coltivare relazioni, spazi, attenzione al territorio.

Non si sono “fermanti” in un paese. Hanno imparato a vivere il distretto, la provincia, il raggio reale delle infrastrutture. Un’ora di strada al Sud spesso equivale a mezz’ora di metropolitana in una grande città. E questo cambia completamente la percezione delle distanze.

Non una soluzione, ma una possibilità reale

Elisa e Roberto non vendono ricette. Lo dicono chiaramente: il lavoro da remoto non è la panacea per il Sud. Non risolve tutto. Non basta da solo.

Ma è una possibilità reale che prima non esisteva.
Una leva in più. Un margine di scelta. Un modo per tenere insieme lavoro qualificato, qualità della vita, relazioni e responsabilità territoriale.

Questo episodio non racconta una fuga, né un ritorno alle origini.
Racconta un’evoluzione: personale, professionale, collettiva.

E forse è proprio da qui che vale la pena ripartire.


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This Is Not a Return. It’s an Evolution

Remote Workers for Remote Villages – Episode 9

Some stories don’t begin with a dream, but with a question.
And not a romantic, conference-friendly question either — rather a stubborn, uncomfortable one: are we actually living the right way?

Episode 9 of Remote Workers for Remote Villages starts exactly there.

Elisa Lo Blanco and Roberto Palma didn’t “escape” to the South. They didn’t quit everything to chase a postcard version of Mediterranean happiness. They are biomedical engineers, with solid careers built in Bologna, working in the medical-device sector, inside structured companies — including multinationals. They followed the path that, for years, Italy considered the right one: education, specialization, qualified work, stability.

Then came 2020.
Not as a revelation, but as a rupture.

The death of a close friend in Bologna — 49 years old, on March 15, 2020, due to Covid — and their own experience of contracting Covid in the early, pre-vaccine phase of the pandemic made it impossible to keep postponing certain questions. There is no tale of illness here, no clinical “before and after.” What emerges instead is the psychological and existential impact of that period — something many experienced, but few truly listened to.

The choice wasn’t “going back”

The choice was never about “going back to the South.”
The real choice was about regaining control over time and space.

Elisa leaves a multinational with tens of thousands of employees to join a ten-person startup. Roberto rethinks his entire relationship with work. Together, they look for — and find — roles that allow them to work remotely without sacrificing professional depth, while gaining autonomy.

Sicily enters their story not as a refuge, but as a concrete possibility. Family land, the idea of not letting it remain unused, the desire to experiment. They don’t become farmers. They don’t change professions. They keep doing their jobs — just from somewhere else.

That’s where the real shift happens.

When remote work stops being solitary

At first, there’s excitement. Then comes the other side of remote work: isolation.
Working from home, even in the most beautiful village, is still working from a closed room. And in Licodia Eubea — just over 3,000 inhabitants — that room can quickly become a boundary.

Out of necessity rather than strategy, a simple question emerges: is it really impossible to create a shared space to work together?

The answer comes, as often happens in Italy’s most interesting stories, through relationships.
A forward-thinking parish priest opens the doors of a renovated oratory. Other remote workers emerge — people who until then had felt like “aliens” in their own town. Developers, e-commerce entrepreneurs, a journalist-lawyer — different professionals who suddenly realize they are not exceptions.

The coworking space is born quietly. No slogans. No initial funding calls. It exists because it’s needed.

From space to network

Over time, that space becomes something more.
Not just a workplace, but a connector. Links form with other rural coworking spaces across Sicily, with similar initiatives, with Southworking, with incubators like Isola Catania.

Elisa and Roberto describe a crucial transition: the network doesn’t grow out of ambition, but out of survival. Meeting others who have made similar choices creates a form of emotional and professional safety. Proof that this path — fragile as it may be — isn’t madness.

It also represents a deep cultural shift: collaboration without competition, sharing mistakes before successes, growing together without labels.

Infrastructure, not storytelling

One of the strongest moments in the episode comes when the conversation moves from people to places.
Living and working remotely also means taking responsibility for the territory you inhabit — and that means talking about infrastructure, without rhetoric.

Incomplete roads. Highways essential to entire agricultural districts that are still unfinished. Elisa and Roberto describe their monthly monitoring of progress on the Catania–Ragusa route not as ideology, but as necessity. If you live there, that road matters. Full stop.

This is a new form of citizenship, rarely discussed: remote workers are not temporary guests. They have a direct stake in whether a place actually works.

The connectivity paradox

The episode also dismantles a persistent myth: “Southern Italy has no internet.”
In many small Sicilian towns today, connectivity is better than in congested major cities — sometimes thanks to local entrepreneurs who laid fiber before national operators arrived.

Not because the South is magically ahead, but because arriving later allowed infrastructure to be built to current standards. A paradox worth observing without prejudice.

Rooted, but not stuck

Today Elisa and Roberto live a multi-local life: Sicily and Salento alternate between work, family, and evolving networks. In Trepuzzi, they find public coworking spaces, active libraries, and real energy. In Sicily, they continue nurturing relationships, shared spaces, and attention to place.

They didn’t “settle” in a village. They learned to live at the scale of districts and provinces — the real geography of everyday life. One hour of travel in the South often equals thirty minutes of urban commuting in a large city. That changes how distance is perceived.

Not a solution — a real possibility

Elisa and Roberto don’t sell formulas. They’re clear: remote work is not a miracle cure for Southern Italy. It doesn’t fix everything. On its own, it’s not enough.

But it is a real option that didn’t exist before.
An extra lever. A margin of choice. A way to combine qualified work, quality of life, relationships, and territorial responsibility.

This episode doesn’t tell a story of escape, nor of returning to origins.
It tells the story of evolution — personal, professional, collective.

And perhaps that’s exactly where it makes sense to start again.


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