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ITS for ITalianS (Ep. 1)

L’Italia vista da lontano: cosa scoprono (e cosa non rimpiangono) gli italiani che sono partiti

Cinque voci da quattro continenti — Serbia, Singapore, Brasile e Dubai — inaugurano la serie ITS for Italians: un viaggio tra chi è partito, chi sogna di tornare e chi, forse, non è mai davvero andato via.

A integrazione del lavoro di centinaia di micro-interviste a italiani partiti, rientrati o ancora in limbo, ho voluto inaugurare una serie di conversazioni più ampie, collettive, tra connazionali che vivono nei luoghi più diversi del mondo.
Non una rassegna di “cervelli in fuga”, ma una chiacchierata — lunga, onesta, senza copione — per capire cosa significhi oggi essere italiani fuori dall’Italia.
Il primo episodio di ITS for Italians è stato registrato fra Belgrado, Singapore, San Paolo, Ubatuba e Dubai: cinque fusi orari, cinque vite, cinque modi diversi di continuare a fare i conti con la stessa parola — Italia.

C’è Predrag, croato di nascita ma cresciuto in Trentino, che da quattordici anni vive in Serbia e dirige progetti sanitari di respiro internazionale.
C’è Stefano, imprenditore a Singapore, fondatore di una fintech, che coordina team in sette Paesi.
C’è Gianluca, siciliano, che dal Brasile racconta come la sua “seconda patria” gli abbia restituito il senso dell’umano.
C’è Rossella, nata a Sanremo, oggi responsabile commerciale per una catena di alberghi di lusso, e fondatrice di un brand di moda made in Italy.
E c’è Andrea, romano, attivista e imprenditore ambientale, che in Brasile ha costruito una startup nel settore dei rifiuti dopo anni in Greenpeace.

Cinque percorsi lontanissimi tra loro, eppure attraversati da un filo comune: la ricerca di libertà, di semplicità e, soprattutto, di possibilità.
Molti di loro non sono partiti “per scappare”, ma per costruire. E spesso, costruendo altrove, hanno scoperto quanto fosse stretto lo spazio che avevano lasciato.

«In Italia ci lamentiamo con la pancia piena», dice Gianluca citando un proverbio brasiliano che suona come un rimprovero dolce.
«È un Paese bellissimo — aggiunge Predrag — ma ci vuole troppa pazienza per lavorarci».
Rossella lo conferma da Dubai: «Essere italiana è un vantaggio. Qui mi apre porte che in patria sarebbero chiuse da anni».
Stefano, da Singapore, lo dice senza giri di parole: «Abbiamo perso la fame. Anche offrendo lavoro a giovani italiani, molti non rispondono ai colloqui».
E Andrea chiude il cerchio: «Dovremmo ricordarci che siamo stati, e siamo ancora, un popolo di migranti. Muoversi è umano».

La conversazione — a tratti ironica, a tratti malinconica — mostra un’Italia che all’estero resta un sogno: il Paese dei paesaggi, della cultura, della cucina, dell’ospitalità “romanzata”.
Ma anche un’Italia che, vista da lontano, appare prigioniera della sua stessa bellezza: un luogo dove tutto è potenzialmente possibile, ma niente accade davvero in fretta.

Eppure nessuno rinnega le proprie radici.
Tutti parlano con rispetto e affetto, come si parla di una persona amata ma difficile da frequentare.
Qualcuno sogna di tornare da pensionato, altri ammettono che «non ci sono abbastanza motivi economici per farlo ora».
Ma la verità è che l’Italia rimane per tutti un punto di riferimento emotivo, un orizzonte affettivo, una lingua che non smettono di usare anche quando non serve.

In un mondo che confonde stabilità con immobilità, ITS for Italians nasce per restituire dignità al movimento — fisico, mentale, culturale — di chi sceglie di vivere altrove senza smettere di appartenere.
Perché in fondo, come emerge da ogni voce di questa prima puntata, l’italianità non è un luogo: è un modo di stare al mondo.

E guardare l’Italia da fuori, forse, è oggi il modo migliore per capire come ricominciare a crederci da dentro.

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ITS for Italians: Italy Seen from Afar

Five voices, four continents, one shared story — the search for freedom, simplicity, and meaning beyond Italy’s borders.


To complement hundreds of one-to-one interviews with Italians who left, returned, or remain undecided about coming back, I wanted to start a new kind of conversation — broader, collective, and a bit more personal.

The idea behind ITS for Italians is simple: bring together a few Italians from around the world, ask them to tell their stories in their own words, and let the dialogue unfold naturally. No script, no rhetoric — just real experiences of people who live elsewhere but still carry Italy within them.

The first episode (in Italian) connects five different time zones — Belgrade, Singapore, São Paulo, Ubatuba, and Dubai — through five very different lives.

There’s Predrag, born in Croatia, raised in Trentino, now based in Serbia, where he has built a career in healthcare and medical technology.
Stefano, in Singapore, runs Corporazio, a fintech company that operates across seven countries.
Gianluca, a Sicilian living in Brazil, found there a sense of humanity and balance he thought he had lost.
Rossella, from Sanremo, now Head of Sales at The Ritz-Carlton Ras Al Khaimah, recently launched her own Italian swimwear brand.
And Andrea, from Rome, an environmental activist who founded a waste-management startup in Brazil after years working with Greenpeace.

Different backgrounds, same undercurrent: a search for possibility.
None of them ran away — they simply went where they could build something. And by building elsewhere, they discovered how small their space at home had become.

“In Italy we complain with full stomachs,” says Gianluca, recalling a Brazilian expression that perfectly sums up our national paradox.
“It’s a beautiful country,” adds Predrag, “but it takes too much patience to work there.”
Rossella confirms: “Being Italian helps me everywhere — except in Italy.”
Stefano is more direct: “We’ve lost our hunger. Even when we offer jobs to Italians abroad, many don’t reply.”
And Andrea closes the circle: “We should never forget that migration is part of being human. We Italians have always been travellers.”

The discussion, sometimes funny and sometimes bittersweet, paints a portrait of Italy as others still see it: a dream, a symbol of culture and lifestyle, but also a place stuck between beauty and bureaucracy.
They speak of the same country with affection and frustration, like you would speak of someone you love but can’t live with.

Most would like to return one day — “maybe when I retire,” they say with a smile — yet none are planning it now. Not for lack of love, but for lack of prospects.

In the end, their message is not cynical at all. It’s profoundly human.
Because for each of them, Italy remains a reference point — emotional, cultural, spiritual — even when life happens elsewhere.

ITS for Italians was born to celebrate exactly this: movement as identity.
A way to live globally without losing your roots.
Because being Italian, as this conversation reminds us, isn’t about where you live — it’s about how you live.

And maybe, just maybe, seeing Italy from afar is the best way to rediscover why it still matters.


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